"Quando ti scopri unico".

                                     
 
Correva l’anno 1997 quando venni assunto in una azienda a Genova. Il mio primo giorno di lavoro fu il 13 marzo, al termine di un lungo, piovoso e freddo inverno. Avevo ancora ventun anni, ne avrei compiuti ventidue il giugno seguente, e mi ritenevo fortunato ad aver trovato un lavoro apparentemente stabile, anche se ero costretto a guidare per cento chilometri per raggiungere l’azienda ed altrettanti per tornare a casa. La mia colonna sonora portante di quei viaggi era Il Vile dei Marlene Kuntz. Facevo i turni e quelle bordate di chitarre mi erano d’aiuto per restare sveglio alla guida. L’anno precedente erano girate voci circa la nascita di una nuova band a Torino, nella quale avrebbe suonato Max Casacci, chitarrista appena uscito dal gruppo torinese Africa Unite. Io, sempre attento alla scena musicale indipendente avevo drizzato le antenne, ma il mio nuovo impiego fuori città mi aveva completamente assorbito. La cassetta del Vile continuava a girare nell’autoradio, la cassetta ragazzi, caspita come mi sento dinosauro.
Poi, un pomeriggio di fine aprile, o forse di maggio, non ricordo, mentre ascolto la radio viene annunciato il primo singolo di una nuova band chiamata Subsonica. Il titolo è Istantanee. 
Avete presente quando d’improvviso sale l’adrenalina ed i brividi si impossessano totalmente del corpo? E’ esattamente quello che mi è successo. Subsonica, nome geniale, penso. Istantanee, un singolo strepitoso. 
Dopo il primo ascolto me ne sono così innamorato tanto che ancora oggi, quando la sento, mi viene la pelle d’oca ripensando a quel momento. Non si può spiegare perché accadano certe cose; quando una musica, un ritmo, un suono di uno strumento ti entrano dentro è amore al primo ascolto. 
Hanno fissato un’istantanea della loro e della mia vita. 
Gli anni passano in fretta, ma la musica dei Subsonica è rimasta sempre con me, nei dischi, alla radio, ai concerti. A maggio del 1997 uscì l’omonimo primo album, il 24 per essere precisi, e da quel giorno sono diventati miei fedeli compagni di vita, passando per il fenomenale, danzereccio Microchip emozionale, a quel capolavoro di digitale, elettronica crudezza che risponde al nome di Amorematico e via così, anno dopo anno, disco dopo disco, fino ad oggi, arrivati al secondo compleanno di Una nave in una foresta.
23 settembre 2014.
Sono alla cassa del mio negozio di dischi di fiducia e la commessa, Tiziana, mi dice che il nuovo disco dei Subsonica non è ancora uscito. 
Nei miei occhi: incredulità, sbigottimento, rabbia. 
In effetti in vetrina non l’ho visto esposto, penso già rassegnato alla triste verità. Ma lei mi sorprende con un “Ti ho preso in giro, è appena arrivato, non ho avuto il tempo di metterlo esposto. Volevo vedere la tua reazione”. 
Simpatica … 
Mi stava attaccando il panico ed ancora non sapevo che quel gioiello di album conteneva una canzone a tema già pronta per me: Attacca il panico, appunto.
Pago, esco, salgo in auto, inserisco il compact disc. Dal ‘97 ad oggi mi sono evoluto anch’io, cosa credevate?
Resto folgorato. La titletrack è formidabile. Certo il titolo è strano, chissà cosa significa. In seguito mi documento, leggo ed ascolto le numerose interviste a Samuel, a Max, a Boosta e mi stupisco per la loro intelligenza, per le illuminanti intuizioni, per la loro geniale creatività. 
Ancora, dopo anni, riescono a stupirmi. Li adoro.
23 settembre 2016.
Ed il tempo passa, si cresce e si matura.
Oggi mio figlio tredicenne viene ai concerti con me, insieme ne abbiamo visti due subsonici, uno dei quali alla transenna. 
Cresce bene il ragazzo. Ed io invecchio. Sono passati quasi vent’anni dal primo ascolto di Istantanee, ma i Subsonica sono ancora con me, con noi.
Si cresce, si matura, stavo dicendo. Ma soprattutto crescendo e maturando si cambia, ed i Subsonica hanno contribuito in modo risolutivo a forgiare, plasmare, modellare una parte del mio carattere e del mio pensiero. E’ inevitabile, quando ami un’arte è logico che l’artista amato influenzi in parte il tuo cammino. I loro sono testi così vivi, reali, sinceri, con quella dose di umiltà che si rende necessaria per rimanere credibili e per vivere nella collettività artistica senza perdere la ragione. 
A distanza di quasi vent’anni da quell’istantanea ferma per l’eternità nella mia mente, ho fissato un segno indelebile sulla pelle che mi ricorderà per sempre ciò che sono e ciò che sto vivendo. Ed il merito di ciò che sono oggi è anche dei Subsonica.
Si, perché quando il tempo scorre troppo velocemente ti accorgi di quante cose avresti potuto e voluto fare, ma per molteplici dinamiche e situazioni della vita non ti è stato concesso di poter realizzare. Allora cosa fai? Vivi il presente al meglio cercando di guardare il bicchiere sempre mezzo pieno. Ma talvolta il bicchiere è vuoto e non riesci ad uscirne, come fossi chiuso in una gabbia.
No, non si tratta di alcolismo. Tutt’altro. E’ il posto di lavoro. Già, dopo vent’anni il lavoro in azienda mi sta stretto, ma è la fonte di sostentamento mia e della mia famiglia. Quindi cosa fare?
Continui a lavorare, con serietà e professionalità, ma non sempre vieni ripagato con la giusta moneta. Anzi, al contrario l’invidia e la cattiveria di alcuni fanno da padrone e sentirsi fuori posto è il minimo che ti possa capitare. Ecco che Una nave in una foresta rientra in gioco. E’ la mia, mi dico, dopo tante frasi meravigliose nei testi subsonici una è stata scritta apposta per me, ne sono certo. Tutto il disco è stato scritto per me. Caspita, c’è Lazzaro che mi sprona a rialzarmi e camminare. C’è Di domenica che mi ricorda che i cambiamenti spesso spaventano, ma non si deve aver paura di affrontarli; lo aveva già spiegato Preso blu nel ’97, anche se allora ero probabilmente troppo giovane per capire a fondo il significato. I Subsonica invece erano avanti già vent’anni fa, lo avevano capito. Bè, non è mai troppo tardi.
01 ottobre 2015
Seduto sul lettino, il tatuatore ha quasi terminato l’opera d’arte sulla mia pelle. Tra i tanti tatuaggi che porto addosso questo è il più importante insieme ad un altro, una frase del grande Bruce Springsteen, dedicato a mia moglie.
“Ed a volte ti vedi unico, una nave in una foresta”.
E’ una fase di cambiamento interiore per me. La mia famiglia è con me, sempre con me. La mia base solida, la mia forza per affrontare questo cambiamento.
Non ho cambiato lavoro, ma l’atteggiamento. Ed i riconoscimenti sono arrivati. Anche fuori dal posto di lavoro fortunatamente, riconoscimenti e grandi soddisfazioni musicali e letterarie. 
I Subsonica sono la prova che si può cambiare restando se stessi, perché il cambiamento è già dentro di noi.
In fin dei conti siamo tutti un pò unici nell’essere tra noi diversi.
Unici come “Una nave in una foresta”.
 
Alessandro Ebuli
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